A teatro per abitare il mondo e la sua complessità

❮❮ Riprendiamo il filo. Dedichiamo tempo alla bellezza e all’arte. Abitiamo insieme il teatro. È il filo e non le perle, a fare la collana. ❯❯

Questo in sintesi il desiderio che ci muove nel riaprire, con emozione, il Teatro Pime al pubblico, il prossimo 23 ottobre, quando prenderà il via la nuova Stagione. Al di là dei titoli, della presenza di giovani attori a fianco di artisti di grande professionalità e comprovata fama, della nuova programmazione dedicata alle scuole, del profondo rinnovamento strutturale e contenutistico avvenuto negli ultimi due anni, che ha permesso al Teatro Pime di affacciarsi con un’identità più precisa e puntuale nel panorama culturale della città di Milano, ciò che vorrei sottolineare è la dimensione necessaria, urgente e decisiva che la pratica teatrale può giocare, come spettatori ma anche come attori protagonisti: nell’allargare gli orizzonti dell’anima, costruire identità e personalità complesse, accogliere la differenza, stimolare il dialogo, forgiare nuove formae mentis, favorire l’arricchimento reciproco e la conoscenza, crescere cittadini con un cuore vivo e pulsante.

Gli ingredienti per questo miracolo, da quando esiste il teatro (ovvero da quando esiste l’umanità), sono da sempre gli stessi.

❮❮ Attori e spettatori sanno che in sala tutto è finzione, ma che in realtà non c’è nulla di falso. Come i miti degli antichi, sul palcoscenico non si racconta l’oggettività del reale, semmai le sue verità nascoste. ❯❯

Sul palco ci sono persone vere, in carne ed ossa, e già questo, nell’era della comunicazione e delle relazioni virtuali, è rivoluzionario. Ogni sera è diversa, ogni scambio è intimo, ogni parola è detta in quell’istante, solo per te.

E sono proprio le parole il secondo ingrediente che nutre lo spettatore.
Esse hanno un potere trasformativo.
Della realtà, ma anche delle anime.
L’umanità lo sa da sempre, anche se oggi preferisce spesso usarle esclusivamente per operazioni di marketing, talvolta anche culturale. Ma il teatro, quello che non vuole limitarsi all’intrattenimento, sa che la sua funzione è molto più alta.

C’è un’etica della narrazione. Essa sfugge alle strutture di potere, permette di meglio comprendere la società, sé stessi, gli altri, l’esistenza delle cose, le rappresentazioni che ognuno di noi obbligatoriamente si fa della vita e del suo inafferrabile mistero.

Comunità: in questo senso, a teatro si indaga insieme.

Attori e spettatori sanno che in sala tutto è finzione, ma che in realtà non c’è nulla di falso. Come i miti degli antichi, sul palcoscenico non si racconta l’oggettività del reale, semmai le sue verità nascoste, quelle esistenziali.
Capita così che frequentare il teatro ci renda più accoglienti, emotivamente più acuti, perché le pareti sensibili dell’anima sono sempre coinvolte, che si tratti di una risata, di un monologo, di un brano musicale.

Il teatro eleva.
Non sopra gli altri, non per dominare, non per un interesse rapace, ma per sviluppare un pensiero e un vissuto paradossale che non si fermano al già visto, al già conosciuto, al noto ma esplorano possibilità inusuali, guardano alla realtà come un caso particolare del possibile, giocano a decentrare la prospettiva, fino ad arrivare a interrogare profondamente i nostri valori, la nostra visione del mondo.

Una programmazione teatrale che rinunci a questo, a mio avviso, non fa propriamente teatro, semmai programma svago. Il che non è un male, sia ben chiaro, ma non è il fine e la prospettiva che immaginiamo per il Teatro Pime.

Trasfigurazione.

Questa forse è la parola chiave che sintetizza tutto quanto scritto finora. Attraverso gli spettacoli in cartellone sogniamo di travalicare confini, sfuggire alle solite dinamiche dell’avere, avvicinarsi e comprendere le storie altrui, curare sé stessi, formarsi all’ascolto, sviluppare nuove percezioni, vivere e sviscerare conflittualità, sostare fra differenti universi culturali, riconoscere gli altri come decisivi nella definizione della nostra identità.

E tutto questo viaggiando con parole che diventano cibo, disposti a diventare pellegrini seppur comodamente seduti su una poltrona, consapevoli di assistere a una messa in scena che può incidere in maniera concreta nella nostra vita di tutti i giorni.

Trasfigurati, appunto. Così dunque amerei vedere gli spettatori della nuova Stagione Pime, alla fine di ogni rappresentazione. E certamente vorrei ricevere questo dono anch’io.

di Andrea Zaniboni,
direttore artistico del Teatro Pime

Foto di Artphotogram

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