“La Loba è vecchia. É una donna di due milioni di anni. Vive in un luogo sperduto che tutti conoscono, ma pochi hanno visto. Raccoglie le ossa, quelle che corrono il pericolo di andare perdute”.
É custode di quanto sta morendo e di quanto è già morto. La sua figura ancestrale di donna selvatica fa da confine e tramite tra ciò che è vivo e ciò che è morto, tra ciò che è desueto e ciò che anela alla Resurrezione. La Loba canta gli inni della creazione, rimette in gioco vite, mondi, storie. La Loba è detentrice della memoria e narratrice, il suo canto restituisce la vita, trasfigurata in qualcosa di nuovo. Qual è la nostra personale resurrezione? Di quali rituali abbiamo bisogno oggi? Che cosa abbiamo sepolto e cosa vogliamo ricomporre, liberare? Quante volte possiamo morire per poi rinascere? In scena cinque donne, cinque voci tentano di rispondere a queste domande. Come la Loba raccontano storie di vite che anelano al cambiamento, al riscatto, alla guarigione e alla resurrezione. Storie dal sapore acre, a volte tragicomico e dal ritmo variegato. Cinque voci diverse che si fondono in un unico affresco di racconti cantati e canti musicati. Voci che si fanno invettiva, poesia, preghiera e che si innalzano in canto. Un canto polifonico che si fa portavoce della rinascita e che ne assume tutte le caratteristiche: il dolore, il buio, la spinta, la rabbia, il pianto, la gioia, il riso che contagia che apre e libera. E ad ogni canto la memoria prenderà forma, risorgerà.