Killers of the Flower Moon: il fallimento dell’uomo

L'ultima pellicola di Martin Scorsese è una storia di sfruttamento e avidità che riscrive la nascita degli Stati Uniti. Ma è anche un film su come la vita di un uomo può andare in rovina per incapacità di agire, vizi e paure

In tutte le arti ci sono sempre un pittore, un musicista o uno scrittore che diventano la vetta massima su cui viene naturale poggiare lo sguardo. Diventa qualcosa che va al di là del semplice gusto; diventa imprescindibile. Martin Scorsese è questo. Questo è il cinema del miglior regista vivente.

Dopo essere stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes, il 19 ottobre è uscito nelle sale italiane Killers Of The Flower Moon, un carosello di generi differenti magnificamente mescolati: dal western, al dramma, al gangster movie, fino ad arrivare al genere processuale, interpretato da un cast stellare, tra cui spiccano gli amicissimi del regista, Robert De Niro e Leonardo DiCaprio.

Ancora una volta Scorsese non rinuncia a poeticizzare i suoi temi più cari: l’alienazione post-bellica, l’amore (o meglio, l’incapacità di amare nel modo adeguato), la nascita di una nazione basata sul sangue e sulla violenza, riesumando così un’atroce storia di sfruttamento di una popolazione indigena.

1920, Oklahoma. Nella contea di Osage sono stati scoperti giacimenti petroliferi. Si verificano, poco dopo, una serie di omicidi le cui vittime sono appartenenti alla tribù indiana locale. L’FBI decide finalmente di indagare su queste brutalità rimaste impunite. Chi sono i responsabili? Dove si nascondono?

Questa è la base di partenza di Killers Of The Flower Moon, un film mastodontico, le cui origini nascono dal libro inchiesta del 2017, scritto dal giornalista David Grann, splendidamente adattato al grande schermo da Eric Roth e dallo stesso Scorsese.

Gli indiani osage protagonisti di Killers Of The Flowers Moon, infatti, furono costretti dal governo degli Stati Uniti a lasciare la propria terra natia, per spostarsi in un piccolo appezzamento in Oklahoma. In questa zona apparentemente inutile e inospitale, però, gli indiani scoprirono il petrolio, come viene mostrato nello strepitoso slow-motion dell’incipit, in cui un gruppo di indiani danza attorno a una cascata di oro nero che zampilla dal terreno ricoprendo i loro corpi. Diventarono una tribù ricchissima e facoltosa per via delle royalties che ricevevano dalle aziende petrolifere.

Ernest (Leonardo DiCaprio), di ritorno dalla Prima Guerra Mondiale, cerca ospitalità e occupazione presso lo zio William Hale (Robert De Niro) che gestisce gli affari per conto degli indiani osage. Tutti si fidano di lui. Ma basta sapere che preferisce farsi chiamare “The King” (il re) per comprendere al meglio il suo personaggio: Hale rappresenta il male assoluto, puro e cristallino, che pur essendo insidioso, insospettabile e invisibile non rinuncia a essere estremamente letale. Hale convince suo nipote ad avvicinarsi all’amabile osage Mollie, di cui lui si innamora realmente. La fragile figura di Ernest pecca d’ignavia: non si sforza nemmeno troppo di resistere alle circostanze che lo portano a commettere terribili errori, nonostante conservi per Mollie un amore autentico. Il suo modus operandi è più simile a una non-azione per ottenere quello che nemmeno vorrebbe, ma che rispecchia la volontà dello zio Hale.

La narrazione scorre velocissima (nonostante le tre ore e mezza di durata), grazie al sapiente utilizzo di un registro stilistico classico e al contempo moderno, capace di intrattenere per l’intera esperienza audiovisiva adulti e giovani.

Killers Of The Flower Moon è una storia di fallimento di un antieroe che vuole cambiare la sua vita in meglio: votato al denaro, che gli interessa solo apparentemente, in cuor suo vorrebbe essere libero di amare, senza sentirsi soffocato da una società che lo spinge a volere tutt’altro che il reale benessere. Il regista sembra suggerirci che i vizi fanno crollare vertiginosamente gli uomini nel fuoco degl’inferi, proprio come nell’incipit di Casinò (1995), in cui il personaggio interpretato da De Niro volteggia irrealmente tra le fiamme che invadono lo schermo durante i titoli di testa. A dimostrazione della volontà di Martin Scorsese di maneggiare sempre concetti spirituali e religiosi (essendo oltretutto profondamente cattolico) trasformandoli in immagini memorabili con estrema maestria e lucidità.

 

di Matteo Malaisi
esperto cinematografico