Come bambini | Secondo le Scritture

Battezzare o non battezzare i bambini? Partendo da questo interrogativo di molti genitori Valentina Venturini esplora la simbologia di questo sacramento per ricollegarlo alla vita quotidiana

Il 20 novembre 1989 l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato la Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la quale sancisce, tra le altre cose, il diritto dei bambini all’ascolto e alla partecipazione. L’articolo 4 recita: “Tutti i bambini, in quanto persone a pieno titolo, devono essere presi sul serio e rispettati. Ciò significa anche informarli in modo conforme alla loro età e coinvolgerli nelle decisioni”.

Essendo diventata mamma da poco mi sto interrogando su come si possa prendere sul serio, rispettare e coinvolgere davvero i bambini in tutte le decisioni che prendiamo e nelle esperienze che la vita ci offre. La prima questione che mi sono posta è stata riguardo al Battesimo: non ho mai avuto dubbi sul chiederlo per il mio bambino, ma di recente ho avuto un bellissimo confronto con un’amica che è in dubbio sul farlo. Penso che la questione sia molto comune ed anche molto semplice e genuina: se noi genitori non siamo persone che frequentano la Chiesa, che senso ha chiedere il Battesimo per il nostro bambino? Il quesito se lo pongono soprattutto quei genitori attenti che cercano di offrire un modello di coerenza, oppure quelle coppie nelle quali uno dei due è ateo mentre l’altro, seppur lontano, ha una sua forma di fede e di preghiera.

La questione del battesimo

Il sacramento del Battesimo non deve essere un’imposizione della società (come successo per molti secoli) né “un’imposizione” della famiglia (per fare contenti nonni e zii), ma neppure una cosa da fare tanto per rispettare una tradizione che poco ha a che fare con la mia vita. Penso che chiedere l’ingresso nella Chiesa del proprio bambino sia una dono che i genitori possono fare: come quello che facciamo quando insegniamo loro a dire “grazie”, o a giocare con un amico senza farsi male, o ad interagire col gatto senza tirargli la coda.

Insomma, è un dono che si può fare similmente a quanto facciamo con l’educazione e la capacità di stare nel mondo che ogni giorno cerchiamo di trasmettere loro. Sempre più spesso si sente dire di non battezzare i propri figli perché sarebbe un’imposizione su coloro che non possono ancora scegliere e quindi, in nome della loro libertà, si rimanda la cosa all’età adulta, quando potranno chiedere il Battesimo in prima persona. Se questo fosse vero dovrebbe valere per tutto: non dovremmo insegnare nulla per lasciarli liberi di scegliere quando saranno nell’età della ragione. Eppure penso nessun genitore abbia deciso di crescere i propri figli come animali che utilizzano solo l’istinto per sopravvivere, rimandando il resto ad un secondo momento. Ecco, quindi, perché penso che il Battesimo possa vedersi come un dono: un genitore offre il meglio che ha e questo deve avvenire anche per le tradizioni e la religione. Discorso a parte potrebbe farlo chi non riconosce alcun valore a una determinata credenza: allora, forse, la coerenza si rivela il miglior esempio possibile. Il discorso chiaramente vale per tutte le religioni: penso che offrire l’ingresso in una comunità di persone con le quali condividiamo un determinato sistema di credenze sia una delle migliori scelte che possiamo fare per i nostri bambini, i quali poi avranno tutto il tempo per riconoscersi a loro volta in quelle comunità oppure per distanziarsene non appena ne avranno la possibilità.

Se anche decideranno per questa seconda opzione cosa avremo tolto loro, nel caso del cristianesimo, con il Battesimo? Nulla! Alcuni invece risponderebbero la libertà di scelta, ma torniamo al discorso fatto prima: o questo vale per tutto, oppure non vale.

Vorrei allora provare a soffermarmi sugli elementi propri del Sacramento, segno sensibile (che si vive in modo esperienziale) ed efficace della Grazia, collegandoli al tema della partecipazione attiva dei bambini alla vita sociale degli adulti.

Acqua

È il simbolo per eccellenza, in tantissime culture, di purificazione. Il Battesimo purifica dal peccato originale che ci segna in quanto creature finite, costantemente tentate dal sentirci autosufficienti e in grado di salvarci da noi stesse. Al di fuori dell’ambito liturgico è l’elemento che più ci caratterizza in quanto mammiferi: nel grembo materno vi siamo, di fatto, immersi per nove mesi; è quell’elemento che ci custodisce e ci fa crescere rendendoci in grado di affrontare la vita nel mondo al di fuori della pancia della mamma. Similmente l’acqua battesimale ci custodisce e ci permette di nascere a vita nuova nel popolo di Dio, diventando in esso parte attiva.

Cero battesimale

Simboleggia la volontà dei genitori, della madrina e del padrino, di tenere sempre viva la fiamma della fede che scaturisce direttamente da Dio (la candela si accende, infatti, dal cero pasquale). Questa volontà di educare il bambino è qualcosa che caratterizza l’intera sua esistenza, anche quando bambino non lo sarà più. Il diritto all’educazione è qualcosa che anche la Convenzione dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sancisce anche se, chiaramente, con un taglio differente.

Olio dei catecumeni

Sancisce l’accettazione del nuovo cristiano da parte della comunità cattolica. Il paragone che mi viene in mente è con la registrazione all’anagrafe: con quell’atto amministrativo la società accetta un nuovo membro conferendogli dei documenti, un codice fiscale e quanto necessario per poter essere un suo componente attivo.

Sacro Crisma

È un olio speciale che con-sacra la persona che lo riceve, ovvero la rende sacra similmente a Dio, il sacro per eccellenza, che elargisce questa sua caratteristica anche alle sue creature. Sacro vuol dire, in origine, separato: ecco perché Dio viene definito tale. Per noi vuol dire essere “separati” dal mondo pur essendo nel mondo (cfr. Giovanni 15,18-21) ovvero vivere ricordandoci che la nostra meta ultima è la vita eterna. Forse per questo motivo mi è difficile trovare un collegamento con le cose “del mondo”.

Veste bianca

Chiaro segno di rinascita poiché a vita nuova corrispondono abito e habitus (abitudine, comportamento) nuovi. Potremmo pensare a quando si acquistano corredino, mobili e accessori vari per un neonato: acquistare qualcosa di nuovo ci rende più pronti ad accoglierlo nella nostra casa.

Padrini

Sono due figure che accompagnano il battezzato nella sua vita di fede, ma non solo. Penso rappresentino tutti quelli (famiglia, amici, comunità) che desiderano e si impegnano a stare accanto al nuovo arrivato. La cosa non è diversa nella vita secolare.

Ho provato ad abbozzare questi paragoni per dimostrare che le esperienze umane sono le medesime anche se attengono ad ambiti diversi e che i diritti dei bambini si possono, anzi si devono, applicare in ciascuno di questi. Inoltre si vede che il Battesimo, tornando nello specifico dell’iniziazione cristiana, non toglie nulla ma, eventualmente, aggiunge.

Ritornare come bambini

Discorso simile lo si potrebbe fare per la messa domenicale: da quanto abbiamo perso la spontaneità e la naturalezza della messa con intere famiglie con bimbi più o meno chiassosi al seguito? Oggi quando un bambino piange per due o tre volte iniziamo a guardare in quella direzione come a rimproverare ai genitori, oppure pensiamo al disturbo e al caos perdendo di vista la bellezza di una famiglia che vuole presentarsi unita davanti al Signore. Certamente le chiese possono fare qualcosa per agevolare questa preziosa e sempre più rara presenza, e alcune lo fanno già: messe dedicate ai bambini e ai ragazzi, spazi separati dal resto dell’assemblea che lasciano la possibilità di seguire la celebrazione, angoli con tavolini e seggioline per sedersi a colorare dei fogli (magari con le immagini delle letture della domenica). Addirittura in una chiesa ho visto alcuni adolescenti e giovani offrire questo servizio in modo da lasciare i genitori liberi di seguire la celebrazione in tutta calma.

“Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio” (Mc 10,14): lo ha detto Gesù stesso e penso si debba riscoprire questa spontaneità, che invece in tante giovani chiese nate in luoghi di missione si custodisce e apprezza ancora. Così possiamo davvero far partecipare i più piccoli alla nostra vita di Chiesa, che sempre di più sembra essere diventata appannaggio di adulti stanchi e abitudinari privi della capacità di stupirsi per le piccole cose, come invece i bambini sanno fare. E forse è proprio questa spontaneità insieme all’essere debitori e dipendenti, che fa dei più piccoli gli interlocutori privilegiati di Gesù: solo se sapremo riconoscerci mancanti, in costante confronto con ciò che ci circonda e dipendenti da colui che è nostro Padre nei cieli potremo entrare nel Regno di Dio.

 

Di Valentina Venturini
teologa ed educatrice presso la sede di Busto Arsizio dell’Ufficio Educazione Mondialità