L'attualità della poesia di Antonia Pozzi al Teatro Pime

Fu una delle voci più importanti della poesia italiana del Novecento. Si tolse la vita per la disperazione gettata sulla sua anima dal clima di odio e violenza che precedette la Seconda Guerra mondiale, senza che la sua opera fosse pubblicata. Ora l’attualità del suo lavoro si manifesta anche in uno spettacolo teatrale. Il direttore del Centro Pime, Gianni Criveller, traccia un profilo della poetessa Antonia Pozzi

Antonia Pozzi, poetessa e fotografa milanese, nata nel 1912 e scomparsa tragicamente nel 1938, a soli 26 anni è considerata una delle più alte espressioni della poesia italiana del Novecento. Un numero sempre crescente di persone la incontra e non se ne distacca più. Antonia fu sconvolta dall’oppressione e dalla violenza del suo tempo e fu duramente provata dal dramma delle leggi razziali, che toccarono i suoi carissimi amici Paolo e Piero Treves, costretti all’esilio. Si sentì ancora più sola e avvolta da senso di ingiustizia e struggente malinconia. Antonia fu, in un senso molto importante, una prematura vittima della guerra mondiale incombente, di cui sentiva l’avanzare minaccioso e fatale.

❮❮ Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite. ❯❯

Un sentimento di angoscia tremendamente attuale in questi giorni e mesi di incredulo sgomento di fronte a guerre orribilmente crudeli e che minacciano effetti ancora più minacciosi e devastanti.

Antonia si tolse la vita a 26 anni, presso il monastero di Chiaravalle. È sepolta a Pasturo, in Valsassina, il ‘luogo dell’anima’ della poetessa, dove trascorse lunghi periodi e scrisse gran parte delle sue poesie nella villa di famiglia. A Pasturo tutto parla di Antonia: il cimitero ai piedi delle amatissime montagne dove chiese di essere sepolta; le vie del paese, allestite di foto e versi della poetessa e la casa Raggio di Sole, costruita anch’essa in una proprietà della famiglia Pozzi. Antonia era una scalatrice di grande valore: a Misurina (dove trascorse delle vacanze con l’amica Lucia) prendeva lezioni di arrampicata da Emilio Comici (al quale dedicò due poesie), allora il più acclamato scalatore italiano.

Come Emily Dickinson, Pozzi non pubblicò nessuna poesia in vita, e fu persino scoraggiata dal scriverne. Dopo la morte, le operazioni editoriali sulle poesie di Pozzi furono pochissime e tremendamente inadeguate, nonostante lei avesse avuto per amici carissimi gli esponenti più significativi della cultura e dell’editoria del secondo dopoguerra. La poesia di Antonia Pozzi si esprimeva con immagini, linguaggi, sentimenti e sensibilità molto personali e originali, che noi sentiamo come contemporanei, e che allora furono anticipatori rispetto ai rigidi e freddi gusti del tempo. L’occultazione e la menomazione delle poesie di Antonia contribuì per decenni all’oscuramento e alla incomprensione della sua opera, e anche a quei giudizi parziali – oggi palesemente ingiusti – della qualità del suo linguaggio poetico. Antonia ci è stata restituita grazie ad alcune donne: Onorina Dino (la religiosa che dedicò la vita ad Antonia, portandone alla luce l’intera opera); Graziella Bernabò (la sua dotta e sensibile biografa); Elisabetta Vergani, l’attrice che sabato presenterà il bellissimo spettacolo dedicato alla poetessa.

Elvira Gandini e Lucia Bozzi furono le migliori amiche di Antonia e ne conservarono le poesie. Lucia si prese cura di Antonia morente e la preparò per il funerale. Scrisse una lettera struggente – un capolavoro di umanità in un’epoca disumana – ai fratelli Treves per comunicare l’indicibile tragedia della morte della loro comune amica. Lucia si ritirò poi nel monastero benedettino di Civitella san Paolo (presso Roma): divenuta monaca cambiò il nome in suor Marcellina. Portò con sé le poesie che, quasi di nascosto, Antonia le infilava in tasca. Le stesse poesie che gli intellettuali amici sottovalutavano e che il padre modificava perché non corrispondevano all’immagine che lui voleva per la figlia. Lucia le salvò e le conservò finché un’altra religiosa, Onorina Dino, bussò alle porte del monastero. Grazie a loro, la splendida eredità poetica di Antonia Pozzi ci è stata restituita come un meraviglioso dono.

 

di Gianni Criveller
Direttore del Centro missionario Pime

Lo spettacolo al teatro pime