Io capitano: l'epica contemporanea di Matteo Garrone

Con un film che tiene insieme immagini durissime e sequenze poetiche, Matteo Garrone ci fa guardare all'immigrazione da una nuova prospettiva

Tanti film hanno affrontato il tema dell’immigrazione. Matteo Garrone sceglie di farci immergere totalmente, in profondità, dentro il cuore pulsante dell’Africa per farci respirare l’umanità e la disumanità di un continente tanto magnifico quanto maledetto.

La trama e i premi

Seydou e Moussa sono due ragazzi del Senegal che lasciano Dakar col sogno di raggiungere l’Europa. Partiti dalla loro comunità i due iniziano un viaggio pieno di insidie, tra le difficoltà del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.

Lo spettatore è costantemente a stretto contatto con i protagonisti, sente i loro respiri, le loro sofferenze e la paura che fa battere i cuori freneticamente, come djembé.

Io capitano è stato presentato all’80esima Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, vincendo il Premio della regia e il Premio Marcello Mastroianni per l’interpretazione del giovanissimo Seydou Sarr.

Uno sguardo dall'Africa all'Europa

Uscito il 7 settembre nelle sale italiane, Io capitano sta riscuotendo un notevolissimo successo. Del resto, è proprio quello che merita un film che trasmette uno spaventoso realismo senza rinunciare a momenti fiabeschi e poetici. È proprio dalla realtà di tutti giorni che si possono trarre metafore e poesia; le scene oniriche, fantasy, incentrate sulla tematica del volo, si sposeranno benissimo con gli ultimi fotogrammi del film, in cui Seydou ha lo sguardo rivolto verso l’alto per osservare un elicottero di soccorso. Il suo sguardo, insieme a quello degli spettatori, fin dall’inizio della pellicola, è rivolto verso l’Europa, dritto verso le coste italiane dalle quali siamo abituati a guardare e giudicare il dramma dell’immigrazione.

Questa è la scelta registica principale di Garrone, che non osserva le vicende con la macchina da presa puntata dall’Europa verso l’Africa, ma esattamente l’opposto, proprio per dare ancor più valore a questo viaggio che rappresenta la vera epica contemporanea.

La realtà, senza retorica

Le vicende di Seydou e Moussa sono state scritte sulla base di testimonianze che Matteo Garrone ha raccolto durante il suo viaggio in Senegal, e il film include nel cast persone che realmente hanno affrontato i pericoli riportati sul grande schermo.

Io capitano però non è un film che scivola nella retorica, né vuole addentrarsi nella politica, poiché in sottofondo rimane sempre l’idea di quanto sia difficile risolvere le questioni legate ai flussi migratori. Ancora una volta, però, il cinema dimostra di svolgere un ruolo chiave nella cultura di massa, nella società in cui viviamo, poiché come disse Cesare Zavattini, che diede il suo enorme contributo come sceneggiatore del neorealismo italiano: “Fare un film è un atto sociale”.

In un film come Io capitano, che con il neorealismo può avere tante caratteristiche in comune (a partire proprio dalla sua natura produttiva fino ad arrivare alla sua narrativa), è impressionante vedere come i due protagonisti non tentano di fuggire da una situazione degradante: non patiscono la fame o la sete, vogliono semplicemente avere la possibilità di viaggiare, di essere liberi di andare in un altro Paese.

 

di Matteo Malaisi
esperto cinematografico

La proiezione con il regista

Anche il Centro Pime è tra i promotori della proiezione di Io, Capitano, alla presenza del regista. Appuntamento domenica 19 novembre alle 18 all’Auditorium San Fedele di Milano, dove Garrone dialogherà, al termine della proiezione, con l’arcivescovo Mario Delpini.