La fede: un viaggio lungo una vita | Secondo le Scritture

Non si può credere (o non credere) senza essersi posti delle domande fondamentali su noi stessi e sulla divinità. Domande che aprono un percorso il quale, come ogni viaggio, può condurci a destinazioni inaspettate

Qualunque sia la nostra fede – il sistema di tradizioni e credenze al quale aderiamo o che rifiutiamo e l’intensità di tale scelta – certamente sappiamo che non si tratta di un’esperienza statica data una volta per tutte. Si tratta di un vero e proprio viaggio alla scoperta di noi stessi che può nascondere una sorpresa dietro ogni angolo: una sorpresa che ci può spingere a fare un passo in avanti verso la meta oppure uno indietro verso il dubbio. Non importa quale direzione prendiamo perché l’importante è muoversi, continuare a farsi domande e a coltivare la nostra relazione con Dio.

Non è scontato né facile perché le nostre vite sono sempre piene e rumorose: la famiglia, il lavoro, gli studi, le eventuali attività di volontariato e ciò che ci fa stare bene e rilassare nel tempo libero… il tempo per Dio è sempre meno e spesso viene relegato alla preghiera prima di dormire o al segno di croce prima dei pasti. Oppure facciamo tantissime attività in parrocchia o in qualche ente di ispirazione cristiana e pensiamo di aver assolto al nostro compito di fedeli. Certo, sono tutti tasselli del grande mosaico della nostra vita, che ha anche una parte spirituale, ma a volte dovremmo fermarci a domandarci se stiamo davvero coltivando la relazione con il Signore o se, genericamente parlando, stiamo nutrendo lo spirito come alimentiamo ogni giorno il nostro corpo fisico. Io me lo chiedo spesso e la risposta è sempre deludente. Con fatica riesco a invertire la rotta anche se, quando ci riesco, lo faccio per un periodo limitato nel tempo, tornando poi a rimettere i piedi nelle mie stesse orme.

Il libero arbitrio

Tutto questo è possibile, nel bene e nel male, grazie al libero arbitrio, ovvero la possibilità che abbiamo di rifiutare Dio e le sue promesse. Siamo liberi di dire di no e quindi responsabili per le nostre risposte: se diciamo di sì dobbiamo provare ad agire di conseguenza e se diciamo di no saremo responsabili della nostra chiusura. Questo lo sperimentiamo anche tutte le volte che commettiamo un peccato: decidiamo deliberatamente di allontanarci dalla promessa di bene di Dio perché pensiamo che la nostra intuizione sia migliore, o perché la trasgressione ci sembra allettante e di poco conto nel quadro complessivo, oppure perché pensiamo di poter sospendere, anche solo per una volta, la nostra obbedienza e la voce della nostra coscienza, in nome di una qualche conquista di “libertà” o di una prova che vogliamo dimostrare di poter superare nel mondo secolare, come si diceva in altri tempi.

E quando propendiamo per una di queste scelte contrarie alle parole divine, ecco che prima o poi si manifesta il prezzo da pagare per la libertà che ci siamo presi; e questo non consiste nella “penitenza” che ci assegna il sacerdote quando andiamo a riconciliarci con Dio, noi stessi e la comunità ecclesiale grazie al sacramento della Confessione, ma è la nostra presa di coscienza di esserci allontanati dalle parole dell’alleanza, dalle promesse fatte da Dio a noi e da noi a lui, e da tutto quello che sapevamo essere a tutela del nostro buon vivere.

Questa consapevolezza a volte può divorarci da dentro, anche oltre il perdono ottenuto con la Riconciliazione, perché improvvisamente ci rendiamo conto di aver tradito Dio e noi stessi. In fin dei conti, tutto riporta al grande peccato umano, il “Peccato originale” per usare delle categorie tradizionali, ovvero la pretesa di sapere quale sia la migliore opzione per noi, l’illusione di potersi salvare da soli (autosoteria). E non appena ci rendiamo conto che la libertà della quale godiamo è ferita, incrinata, ecco che allora non possiamo non meravigliarci di questo Dio che ci ha dato l’autonomia e la forza di poterlo rifiutare. Così facendo Dio si è esposto, si è messo in gioco aprendosi a un nostro possibile rifiuto; e la storia biblica è piena di episodi nei quali Dio ascolta il “partner” umano per cambiare la sua decisione o orientare la sua azione: da Genesi/Bereshit (18, 20-33) quando Abramo contratta per la salvezza di Sodoma e Gomorra facendo leva sulla giustizia di Dio e sperando nella sua pazienza, a quando Gesù, nel vangelo di Marco (7,24-30), si lascia cambiare dall’incontro con la donna siro-fenicia aprendo così la sua missione anche ai gentili.

La domanda basilare sulla fede, chiamata anche opzione fondamentale, è, in definitiva, un quesito sulla mia identità e sull’identità di Dio stesso. Ecco perché dovrebbe imporsi come urgente e radicale per ogni donna e uomo che prova a prendersi sul serio. E ribadisco ciò che ho detto all’inizio: la risposta può anche essere di totale distanza dalla fede in una religione o in un complesso spirituale più generico.

Il discorso sul peccato

Ciò che la teologia più recente ci invita a non perdere di vista, quando ci inoltriamo in una riflessione sul nostro libero arbitrio e sul Peccato originale visto come pretesa di autosoteria, è la centralità di Cristo e della salvezza da lui voluta per l’intero genere umano. Per troppo tempo la teologia tradizionale ha discusso su questi argomenti mettendo in rilievo la questione del peccato e della nostra complicità con Adamo (colui che, secondo la tradizione, ha commesso il Peccato originale condannando tutta la sua discendenza umana) ottenendo così che il discorso su Cristo e la sua Grazia passasse in secondo piano.

Oggi invece, nel solco dell’eredità lasciataci dal Concilio Vaticano II, non possiamo non riformulare ogni dottrina in chiave cristocentrica: prima deve venire la solidarietà a Cristo, la nostra predestinazione alla sua Grazia, e in un secondo momento possiamo riflettere sull’uomo storico e registrare la sua inclinazione al peccato. Solo dopo possiamo provare ad indagare l’origine del peccato, ma non considerandola legata ad un solo uomo e analizzando la modalità di propagazione di generazione in generazione, bensì orientandoci a ribadire l’universalità del peccato che è intreccio di una componente personale, una umana (che possiamo figurativamente far risalire al primo uomo) e una certa inclinazione del mondo in generale verso il male.

Il castello interiore

Solamente una volta che abbiamo seriamente preso atto del grande dono della libertà che il Creatore ci ha fatto, potremo aspirare a percorrere quel cammino che Santa Teresa d’Avila descrive nel Castello interiore, libro scritto nel 1577 che vuole essere primariamente una guida per le consorelle affinché anch’esse (e tutti i cristiani) possano ripercorrere le tappe già conquistate da Teresa nel suo viaggio spirituale.

Si narra che, durante un momento di preghiera, Teresa elaborò l’immagine di un castello diviso in sette stanze nelle quali è necessario passare per giungere, finalmente, all’ultima dove si può vivere l’unione mistica della propria anima con Dio. Ovviamente il percorso è personale e varia da persona a persona, ma è efficace e suggestiva la metafora dell’edificio da scoprire e percorrere.

Le prime tre stanze sono per i principianti per i quali la contemplazione è discorsiva. Poi nella quarta stanza si inizia a stare alla presenza del divino semplicemente amando, senza ragionamenti e idee. La quinta e la sesta stanza sono quelle dove si vive l’estasi e il rapimento e infine si può accedere all’ultima, quella più nascosta dentro di noi, dove si può partecipare al proprio matrimonio spirituale con la Trinità. Il cui primo segno, come scrive la santa, è l’oblio di sé poiché è Cristo stesso a vivere nel fedele che ha varcato la soglia dell’ultima dimora. Chiaramente il cristiano che si mette in viaggio verso questa meta dell’anima è chiamato a farlo con impegno, amore verso Dio e il prossimo, libertà e preghiera; ma il vero motore che ci muove in questo pellegrinaggio mistico è Dio, il quale ci sospinge e attira fino all’ultimo ambiente del castello.

 

Di Valentina Venturini
teologa ed educatrice presso la sede di Busto Arsizio dell’Ufficio Educazione Mondialità

Consigli di lettura

Chi volesse approfondire lo scritto di Santa Teresa d’Avila sotto l’ombrellone o immerso nel silenzio e nella magia delle vette, potrà trovare un’infinità di proposte. Io consiglio, se digiuni dell’argomento, il sito delle adoratrici perpetue del SS. Sacramento di Monza, che offre delle semplici e belle schede pdf sulle varie stanze, e i vari siti dell’ordine dei carmelitani; il libro di G. Moioli Itinerario di comunione. Il castello interiore di Teresa di Gesù (edizioni OCD) e, ovviamente, lo stesso scritto della santa spagnola, pubblicato dalle Paoline.

Buone vacanze!