Il lebbroso presidente | Lettere dalla Storia
Antonico, isolato in una baracca sul Rio delle Amazzoni, era già quasi morto per la lebbra. Oltre alle medicine, sono la cura che padre Augusto Gianola gli riserva e la speranza che gli infonde a salvargli la vita
Amazzonia brasiliana, anni Sessanta. Al giovane missionario padre Augusto Gianola, vengono affidate 60 comunità sui fiumi, che dipendono dalla diocesi di Parintins. Là le distanze, si sa, sono enormi e per raggiungere i villaggi dispersi nella foresta occorre trascorrere in barca anche diversi giorni.
Ma il giovane missionario non si scoraggia. Padre Augusto è abituato alle sfide della natura, con cui da sempre, sin da ragazzo cresciuto tra le alpi lecchesi, ha un rapporto diretto e di grande intensità. Ama nuotare, fare escursioni, scalare… Davanti alle meraviglie e alla maestosità del Creato avverte la propria piccolezza e vulnerabilità.
Ne parla con sincerità nel suo diario, in cui traspare anche tutto il suo amore per la creatura forse più bisognosa di cure: l’essere umano.
Circa vent’anni fa, quando il vescovo mi aveva detto di percorrere una parte del fiume alla ricerca della gente sparsa sulle sponde, avevo avvistato una capanna di paglia in mezzo al verde della foresta. Lì ho diretto il mio battellino. Sono sceso e ho visto una vecchietta piccolina, bianca dì capelli. Aveva capito che potevo essere il padre: infatti là non andava nessuno se non il padre. Di anno in anno passava il missionario e quell’anno ero io.
Chiedo: “Come sta? È qui da sola?”. Lei dice: “Entri, padre”. Sono entrato e ho visto in un angolo un uomo seduto su un’amaca: suo figlio Antonico, lebbroso. L’unica cosa bella che aveva erano gli occhi profondi, brillanti. Il resto era tutto molto disfatto. La lebbra era molto avanzata, aveva perso i piedi e le mani non erano più buone. Ho chiesto: “Ma cosa è successo?” Lui non mi rispondeva, solo mi fissava. Il figlio era sposato, ma la moglie era fuggita appena apparsa la lebbra. “E adesso sono qui sola con mio figlio”. Ho pensato: l’amore di una mamma è più forte dell’amore della moglie. Non sapevo cosa dire.
Comunque ho detto. “Antonico, resisti. Forse tra quattro mesi tornerò ancora da queste parti. Intanto andrò a Manaus a cercare delle medicine per te”. Poi l’ho salutato e sono andato.
Dopo quattro mesi sono tornato da Antonico con le medicine.
Nel frattempo l’acqua del fiume era scesa molto, la navigazione era difficile: ho incagliato il battellino. Sono arrivato da Antonico a nuoto correndo un grande pericolo perché ero circondato da grossi pesci, ma non mi fecero nulla. Antonico stava per morire, le piaghe erano aperte, la carne cadeva a pezzi, la faccia era piena di sangue. In questi casi bisogna sempre dare la mano e abbracciare questa povera gente, come faceva San Francesco. Non bisogna aver paura perché la lebbra non è così contagiosa come sì pensa, ma intanto si dà un po’ di forza a questi poveri sofferenti.
Ho bevuto il caffè e ho cercato di tirar su il morale a questo povero uomo e poi gli ho raccomandato di prendere religiosamente le medicine tutti i giorni. Parlavo alla mamma, perché lui mi fissava senza nemmeno dire una parola, mi faceva spavento. Gli dico: “Antonico, non avere paura. Fra quattro mesi passerò ancora e vedrai che sarai guarito e verrà un giorno che tu sarai eletto presidente della comunità che ora stiamo costituendo lungo il fiume”. Lui mi guardava serio senza battere ciglio. Poi me ne sono andato e dopo quattro mesi sono tornato. La donnetta mi introduce nella capanna con una certa allegria. Vedo Antonico che mi dice: “Buongiorno, padre”. Finalmente sento la sua voce. Mi avvicino: la sua carne era tutta bianca come quella di un bambino, le ferite tutte chiuse, non c’è più sangue. Beviamo insieme il caffè e gli do altre medicine per continuare la cura. Gli ripeto: “Un giorno diventerai presidente della comunità del fiume”.
Non l’ho più rivisto da allora, sono passati quasi vent’anni.
Ma quest’anno ricevo una lettera, scritta male e piena di errori, firmata Antonico. Quindi era ancora vivo e mi scriveva. “Carissimo padre Augusto, lei non si ricorderà più di me, ma io sono quel tale che lei ha salvato dalla morte. Quando mi ha visitato avevo già un piede nella fossa, eppure sono guarito. Voglio dirle che la profezia che lei mi ha fatto si è avverata. Domenica scorsa abbiamo fatto le elezioni nella nostra comunità e sono stato eletto presidente!”. Questa è una lettera che conserverò tutta la vita. Sono le cose belle che capitano a noi missionari.
A cura di Isabella Mastroleo
Responsabile Biblioteca Pime
La missione in Amazzonia e la vita di padre Augusto Gianola (1930-1990), con le sue avventure tra fiumi e foreste, ma anche con tutta la sua profonda umanità, sono raccontate in diversi libri che potete trovare nella Biblioteca del Pime. Eccone alcuni: