Fare dialogo attraverso la musica

La musica come veicolo di dialogo tra le religioni, vettore di contenuti che le parole non riuscirebbero a trasmettere. L'esperienza di Manuel Buda, maturata grazie a tanti incontri

Milano, autunno 2018: sto uscendo da una scuola primaria in cui tengo un laboratorio su musica e tradizioni ebraiche. È uno di quei grandi, vecchi, edifici della scuola pubblica che oggi accolgono una popolazione che più varia non si può. Per guadagnare l’uscita attraverso il grande androne principale, e lì… sento riecheggiare chiaramente il ritornello di Zemer Atik, intonata da un nutrito gruppo di bambini che scendono le scale.

Il ritornello di una canzone in ebraico, con una melodia che è mezzo Est Europa e mezzo Medioriente, cantato allegramente dai bambini di un quartiere popolare e multietnico di Milano. Quello stesso brano che col NefEsh Trio ho in repertorio da quindici anni, e che abbiamo portato in concerto in mezza Europa e in Israele.

Ho insegnato ai bambini quel canto nel giro di un paio di incontri; poi ci sono stati altri canti, ci sono state le domande, i miei racconti, l’incontro con una lingua sconosciuta scritta in uno strano alfabeto. E sono convinto che una piccola differenza nel loro futuro rapporto con tutto ciò che è “ebraico” forse ci sarà.

Ma come ci sono arrivato a fare quei laboratori alla primaria Bacone-Stoppani?Questa è un’altra storia, che parte da una persona speciale: Caterina Orrei, una maestra di religione (cattolica, evidentemente) che nel percorso coi bambini ha voluto fortemente inserire un’attività di scoperta, di conoscenza diretta della cultura ebraica, e con infiniti sforzi ed energie si è tirata dietro le colleghe, la preside, e infine un po’ tutta la scuola.

Persone speciali, con un importante vissuto religioso e di ricerca: l’incontro con loro è stato forse uno dei regali più importanti che ha fatto a me il fare la musica che faccio.

In foto: Manuel Buda (al centro) con i NefEsh Trio

 

Eccomi ora invece al monastero di Camaldoli. È dicembre e ci sono i Colloqui Ebraico Cristiani, che ogni anno richiamano qui personalità di entrambe le fedi: religiosi, teologi, semplici appassionati, persone caratterizzate dalla voglia di vivere assieme momenti di comunanza, studio, approfondimento. Con l’amica e collega di una vita Miriam Camerini ci apprestiamo a portare in scena per loro Caffè Odessa, un format che è un po’ concerto, un po’ divertissement, un po’ divulgazione, attorno alla domanda su cosa sia “musica ebraica”. E per farlo abbiamo coinvolto un musicista ospite: Emanuele.

Emanuele è nostro coetaneo, ottimo pianista e organista, e dotato di humor più che sufficiente a calarsi nella parte assieme a noi. Di lì a un anno scoprirò che Emanuele ha intrapreso il percorso per farsi monaco; ormai da qualche anno è parte integrante della Comunità di Camaldoli.

Oggi posso dire di aver suonato, riso e scherzato (nonchè brindato a suon di fantastici liquori camaldolesi) con un mio coetaneo che poi ha scelto e compiuto un percorso per prendere i voti; con Emanuele ci si rivede con gioia quando torno a Camaldoli, magari per far di nuovo musica assieme.

E non c’è nulla da fare: senza un incontro come questo, il mio modo di vedere un religioso o una religiosa cristiani non sarebbe lo stesso. Il rispetto, la stima, la curiosità sicuramente ci sarebbero comunque, ma ora la mia capacità di sentire queste persone più simili e vicine è totalmente un’altra.

❮❮ Capisci come attraverso la musica si riesca a passare in maniera quasi fisica contenuti che richiederebbero tante, tante, parole. ❯❯

E poi, e poi…e poi c’è stato l’incontro con il Refettorio Ambrosiano e col suo fondatore, l’incredibile Don Giuliano Savina, che oggi non a caso è a capo dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso (Unedi); per me, però, Giuliano è prima di tutto quel personaggio vulcanico, dal forte accento milanese, che sa anche suonare la fisarmonica, e che tante volte ha voluto portare musica e cultura ebraica all’interno delle sue attività.

Grazie a lui al Refettorio si sono tenute letture di Testi a più voci, si sono svolti incontri fra personalità religiose, e tanti momenti musicali con proposte davvero interessanti. Per mia fortuna, più volte sono stato a suonare in queste iniziative; di più: una di queste mi ha dato l’occasione di formare il trio con Ashti Abdo e Fabio Marconi, che oggi è un progetto stabile alla vigilia del suo secondo disco.

Ancora una volta, approfondire da una parte e semplificare dall’altra: far mangiare le persone assieme, farle dialogare attraverso la musica, condividere spazio e tempo fisici, pensando a questi come a momenti altrettanto necessari quanto il confronto su testi, teologia, fonti.

In foto: Manuel Buda (al centro) con l’Abdo Buda Marconi Trio

 

Di storie, di incontri come questi ne ho collezionati tanti, e ognuno mi è prezioso. E perché no: anche quando invece questi momenti di incontro hanno fatto venire allo scoperto pregiudizi sugli ebrei o clichet che altrimenti sarebbero rimasti nascosti fra le pieghe del politically correct: in fondo, io sono solo un musicista, e a un musicista – magari dopo un concerto – si possono dire cose che a un’autorità religiosa non si direbbero. Se va bene, sono occasioni preziose per mettere in discussione quei pregiudizi. Non è molto, ma è meglio di nulla.

La verità è che ogni concerto col NefEsh Trio, ogni spettacolo con Miriam o l’Abdo Buda Marconi trio, o ancora con la KlezParade Orchestra, sono momenti in cui capisci come attraverso la musica si riesca a passare in maniera quasi fisica contenuti che richiederebbero tante, tante, parole.

Ho incontrato spesso curiosità, piacere della scoperta, ma anche il desiderio di tante persone di venire poi a raccontarmi le loro esperienze (chi con le danze ebraiche, chi partecipando a una cena di Pesach, chi visitando le sinagoghe di Praga o viaggiando in Israele). Forse per prolungare ancora di qualche minuto uno stato emotivo e spirituale di maggiore pienezza, di allegria dell’incontro; o forse per ripagarmi di quel che ho dato loro, offrendomi esperienze che raccontano lo stesso spirito.

Di una cosa sono certo: io e tutte queste persone ce ne torniamo a casa ricaricate e con una goccia di ottimismo in più.

 

di Manuel Buda

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